Negli anni ’40 del secolo scorso, in mezzo alla violenza della Seconda Guerra Mondiale, vide la luce il primo computer. Nessun abaco, pallottoliere o Pascaline, bensì un vero e proprio sistema di calcolo autonomo. Un sistema che nel giro di qualche decennio si svilupperà fino ad assumere forme e capacità sempre più piccole e raffinate. Questo sviluppo ha portato a parlare addirittura di intelligenza artificiale.

Oggi nessuno potrebbe fare a meno di un computer o dei suoi vari discendenti: tablet, smartphone, smartwatch, unità di controllo motore e così via. E questa dipendenza non tocca solo la vita reale e quotidiana di tanti, ma si è anche “incarnata” nel mondo virtuale della Rete. Del resto, Internet non è altro che un insieme di computer che comunicano a distanza tra loro.

Il linguaggio informatico che non ti aspetti

Questa comunicazione è gestita da una scienza specifica. L’abbiamo chiamata informatica e si è presa l’onere di occuparsi del trattamento e della trasmissione delle informazioni elaborate proprio dai computer (definiti una volta, per l’appunto, elaboratori elettronici).

Mentre gli informatici sviluppano procedure e linguaggi per rendere il computer quello che è, altri si sono preoccupati maggiormente di sviluppare il software (il sistema operativo e i programmi) grazie al quale un utente può interagire con la macchina (l’hardware). In questa interazione vengono utilizzati correntemente termini quali icona e avatar o verbi come salvare, convertire e giustificare. Vi ricorda qualcosa?

Prendiamo un dizionario qualunque e iniziamo a sfogliarlo.

Icona (dal russo ikona, e questo dal greco bizantino εἰκόνα, greco classico εἰκών -όνος «immagine») indica un’mmagine sacra (rappresentante il Cristo, la Vergine, uno o più santi) dipinta su tavoletta di legno o lastra di metallo, spesso decorata d’oro, argento e pietre preziose, tipica dell’arte bizantina e, in seguito, di quella russa e balcanica.

Avatar (dal sanscrito avatāra, attraverso il francese e inglese avatar) è, nel brahmanesimo e nell’induismo, la discesa di una divinità sulla terra, e in particolare ciascuna delle dieci incarnazioni del dio Visnù…

La “misteriosa” relazione tra computer e teologia

Sono quindi tutte parole di derivazione religiosa e persino teologica. Come ha affermato l’arcivescovo e teologo Bruno Forte nella sua prolusione al XLIV Congresso della Società Italiana di Psichiatria (15 Ottobre 2006): «Chi non sapesse che cos’è salvezza, conversione o giustificazione, chi non ne avesse neanche lontanamente l’idea o il bisogno, di certo non avrebbe alcun interesse esistenziale sufficiente per accostarsi alle Sacre Scritture e cercare in esse la luce del senso o la forza della redenzione. Chi non sapesse “salvare”, o “convertire” o “giustificare” il materiale su cui sta lavorando informaticamente, rischierebbe semplicemente di perdere tempo e fatica» (To save, to convert, to justify. I linguaggi della rete e la nostalgia di Trascendenza).

Semplice suggestione? Inconsapevole rimando ad Altro? La risposta non è necessaria, perché è già interessante porre la domanda, sollevare il quesito, «per scrutare nel regno del web», continua Forte, «l’abisso del cuore umano che è e resta il centro di tutto, anche nel tempo della tecnica e del “villaggio globale” favorito ed espresso dalla rete».

Alla ricerca di una risposta

Tecnica o, meglio, tecnologia che rischia di essere sempre più idolatrata, come qualsiasi altro strumento umano che perde il suo uso originale per assumere valori e significati completamente differenti. Se parliamo di dio denaro, forse possiamo dire che il computer è un demiurgo, ossia un essere divino dotato della capacità di creare e ordinare l’universo stesso. Se a qualcuno è venuto un brivido lungo la schiena, non è niente in confronto a quello che accade in un brevissimo racconto di Fredric Brown del 1954 La risposta, dove si narra dell’accensione di un supercomputer che riunisce in un unico circuito tutti i computer e tutto il sapere delle galassie abitate. Lo scienziato si accosta alla macchina e pone la prima domanda…

«Draw Ez fece un passo indietro e trasse un profondo respiro.
“L’onore di porre la prima domanda spetta a te, Dwar Reyn”.
“Grazie” rispose Dwar Reyn “Sarà una domanda cui nessuna macchina cibernetica ha potuto, da sola, rispondere”.
Tornò a voltarsi verso la macchina. “C’è Dio?”.
L’immensa voce rispose senza esitazione, senza il minimo crepitio di valvole o condensatori. “Sì: adesso, Dio c’è.”
Il terrore sconvolse la faccia di Dwar Ev, che si slanciò verso il quadro di comando.
Un fulmine sceso dal cielo senza nubi lo incenerì, e fuse la leva inchiodandola per sempre al suo posto».

Alcuni spunti di riflessione:

Quel linguaggio che unisce tecnologia e teologia (José Tolentino Mendonça)

Ravasi: la Via, la Verità e Twitter (Gianfranco Ravasi)

CyberTeologia (blog di Antonio Spadaro)

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